Il tessuto cerebrale può essere suddiviso in sostanza grigia (principalmente i corpi delle cellule nervose e le connessioni ramificate) e sostanza bianca (principalmente i tratti lunghi di fibre nervose rivestite con mielina). Tradizionalmente, le ricerca sulla sclerosi multipla (SM) si è focalizzata sulla sostanza bianca, ma una nuova ricerca evidenzia il ruolo del danno nella sostanza grigia del cervello di persone con SM. Questa ricerca probabilmente rivela un nuovo processo di malattia autoimmune che coinvolge le cellule nella sostanza grigia.
La maggior parte della sostanza grigia si trova nelle parti esterne del cervello e la sostanza bianca nelle parti interne. Non sorprende che le due aree abbiano preso il nome dal loro colore fisico, la sostanza grigia, che ha un colore grigio-rosato nel cervello vivente e l'area bianca che ha un aspetto biancastro.
La sclerosi multipla è stata pensata come una malattia della sostanza bianca perché questa è l'area in cui sono presenti tratti di fibre nervose mielinizzate, e nella SM è noto che il sistema immunitario attacca e danneggia il rivestimento della mielina sulle fibre nervose. Inoltre, queste aree sono facilmente rilevabili lesioni con scansioni di risonanza magnetica e i modelli sperimentali di SM sono prodotti generando una risposta immunitaria contro la mielina.
Tuttavia, recentemente è diventato chiaro che la sclerosi multipla può coinvolgere sia le aree bianche che quelle grigie e potrebbero esserci due meccanismi diversi. Uno in cui il sistema immunitario attacca la guaina mielinica nella sostanza bianca creando le classiche lesioni della SM e il secondo che causa danni alle cellule nervose (neuroni) determinando la neurodegenerazione nella sostanza grigia.
L'evidenza suggerisce che questo danno alla sostanza grigia potrebbe essere principalmente responsabile della diminuzione di volume del cervello nelle persone con SM (atrofia cerebrale) e dell'accumulo dei sintomi della sclerosi multipla. Alcuni risultati che suggeriscono che questo danno dell'area grigia sia più evidente nelle persone con SM progressiva.
Ora, una ricerca pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica Nature e condotta da un gruppo di scienziati tedeschi, suggerisce che il sistema immunitario non attacca solo la mielina nella sostanza bianca, ma prende anche di mira una proteina presente nella sostanza grigia chiamata beta-sinucleina, suggerendo così un meccanismo che porta alla neurodegenerazione della sostanza grigia.
Gli scienziati hanno osservato che nel sangue delle persone con sclerosi multipla non solo ci sono cellule immunitarie che potrebbero attaccare la mielina, ma anche cellule immunitarie che potrebbero colpire la beta-sinucleina. Hanno anche dimostrato che le persone con SM recidivante-remittente possono avere più cellule che prendono di mira la mielina mentre quelle con SM progressiva hanno livelli relativamente più alti di cellule che prendono di mira la beta-sinucleina.Hanno continuato a studiare queste cellule immunitarie in modelli sperimentali di SM, dove hanno aggiunto le cellule immunitarie che mirano alla beta-sinucleina. Queste cellule sono state in grado di superare la barriera emato-encefalica e causare una serie di sintomi. Tuttavia, dopo molteplici riacutizzazioni hanno scoperto che queste cellule immunitarie nel cervello diventano costantemente attive, portando potenzialmente a un attacco continuo in questa parte del cervello e questo potrebbe determinare un decorso più progressivo della malattia.
Nel complesso questa ricerca dimostra che ci sono vari meccanismi di malattia nella sclerosi multipla che possono essere più attivi nella SM progressiva. Queste nuove informazioni potrebbero aprire non solo nuove vie di ricerca per lo sviluppo di test individuali prognostici e diagnostici per prevedere il decorso di malattia di ciascun un individuo, ma anche possibilmente portare a nuove opzioni terapeutiche per le persone con SM, specialmente quelle con malattia progressiva.
Referenza
Titolo: β-Synuclein-reactive T cells induce autoimmune CNS grey matter degeneration
Autori: Lodygin D, Hermann M, Schweingruber N, et al.
Pubblicazione Nature 566, 503–508 (2019)
DOI: https://doi.org/10.1038/s41586-019-0964-2
Fonte: Nature