Uno studio multicentrico internazionale pubblicato recentemente su Jama Neurology mostra i risultati a lungo termine dell’intervento. Il commento del Prof. Gianluigi Mancardi, Presidente del Comitato Scientifico AISM, uno dei massimi esperti in questo ambito, che ha partecipatoalla ricerca
Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) è un trattamento indicato per casi gravi di sclerosi multipla, di cui abbiamo parlato diverse volte (per approfondimenti si vedano i link in fondo a questa pagina). L'intervento non è esente da rischi e consiste nell’estrazione delle cellule staminali dal midollo osseo, le quali vengono re-infuse nella persona dopo un'intensa immunosoppressione che azzera il sistema immunitario: le nuove cellule introdotte migrano nel midollo osseo e nel tempo ricostituiscono il sistema immunitario stesso.
Un nuovo studio multicentrico internazionale del team Multiple Sclerosis-Autologous Hematopoietic Stem Cell Transplantation Long-term Outcomes Study Group – che ha coinvolto 25 centri in 13 paesi - ha valutato i risultati a lungo termine di questo intervento in 261 persone con diverse forme di sclerosi multipla (SM). I trapianti hanno avuto luogo per più di 10 anni tra il 1995 e il 2006, con un periodo di follow-up fino a 16 anni.
La pubblicazione ha avuto una grande eco sulla stampa negli ultimi giorni. I risultati suggeriscono che, 5 anni dopo l’intervento, il 46% delle persone trattate con HSCT non aveva ancora avuto alcuna progressione o peggioramento dei sintomi (il 73% delle persone con SM recidivante remittente (SMRR) e il 33% di quelli con SM secondariamente progressiva (SMSP).
La ricerca ha visto la partecipazione di gruppi di ricerca Italiani, tra cui quello del Professor Gianluigi Mancardi dell’Università di Genova, uno dei massimi esperti in questo campo, nonché Presidente del Comitato Scientifico di AISM, che afferma: «Questo studio riporta i dati a lungo termine del primo periodo relativo alle ricerche sul trapianto autologo, dal 1995 al 2006, in cui venivano inclusi pazienti più frequentemente progressivi, con alta disabilità, che avevano fallito numerose terapie precedenti, contrariamente al periodo successivo al 2006, in cui si è preferito selezionare pazienti con forme particolarmente aggressive di malattia ma ancora nella fase a ricadute remissione (RR). Pur con queste limitazioni il 46% dei casi trattati dopo 5 anni era libero da progressione. Lo studio è importante perché riporta per la prima volta i dati a lungo termine dei trapiantati in quel periodo storico, confermando comunque che coloro che possono trarre maggiore vantaggio da tale terapia sono le persone con SM ancora nella fase RR, di età più giovane e che avevano fallito un minor numero di trattamenti. Un importante messaggio che viene dal lavoro è però che anche i pazienti progressivi, sebbene in minor misura rispetto ai RR, possono rispondere favorevolmente al trapianto e la malattia in alcuni di questi casi può arrestarsi per un lungo periodo di tempo. Ora è auspicabile uno studio che confronti il trapianto autologo con le migliori terapie a disposizione nelle forme aggressive di SM ancora in fase RR, ma anche per affrontare il problema delle forme progressive, che al momento sono orfane di terapie efficaci".
Nell'ambito dello studio sono stati seguiti diversi protocolli di trapianto. Ampiamente variabili anche le caratteristiche dei partecipanti, in termini di età, livello di disabilità (misurato dalla scala EDSS) e per tipo di sclerosi multipla. La maggior parte aveva provato due o più terapie per la SM. Più del 75% dei partecipanti presentava una forma progressiva di SM al momento del trapianto, la maggior parte aveva la sclerosi multipla secondariamente progressiva (SMSP), e alcuni casi la SM primariamente progressiva (SMPP). Come dice il Prof. Mancardi, i risultati migliori di questa ricerca sono stati evidenziati nelle persone più giovani, con SM recidivante remittente, con minor disabilità al momento del trapianto, e che avevano utilizzato un minor numero di terapie modificanti la mattia prima del trapianto. Al contrario, coloro che hanno presentato una progressione di malattia dopo il trapianto tendevano ad essere più anziani, con sclerosi multipla progressiva, ed erano stati trattati con più di due terapie modificanti la malattia prima di essere sottoposti al trapianto.
Ricordiamo che questo trattamento è indicato solo per alcune persone. Si tratta infatti di un trattamento molto forte che ha un tasso di mortalità intorno all'1-2 per cento. Non può quindi essere somministrato senza un attenta valutazione. Nello studio si sono verificati otto decessi (2,8%) entro 100 giorni del trapianto, per la maggior nei trapianti realizzati prima del 2000. I miglioramenti nelle tecniche di selezione e di trapianto del paziente sembra aver abbassato il rischio di mortalità negli anni successivi. I ricercatori si propongono di continuare la ricerca in questo campo con uno studio di fase III.
Long-term Outcomes After Autologous Hematopoietic Stem Cell Transplantation for Multiple Sclerosis
Paolo A. Muraro, MD1; Marcelo Pasquini, MD2; Harold L. Atkins, MD3; et al
AMA Neurol. Published online February 20, 2017. doi:10.1001/jamaneurol.2016.5867