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18/11/2015

Guglielmo Pacileo (Bocconi-CERGAS): “PDTA per garantire equità nell’accesso ai servizi”

I Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali come strumento per unire accesso a servizi e sostenibilità. “Una visione d’insieme che metta realmente la persona al centro del sistema”

PDTA
Nella foto: la platea del Convegno Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali nella Sclerosi Multipla: confornto tra esperienze e modelli, organizzato da AISM a Roma lo scorso 13 novembre 2015


Venerdì 13 novembre a Roma si è tenuto il convegno organizzato da AISM e la sua Fondazione dal titolo “«Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali nella Sclerosi Multipla: confronto tra esperienze e modelli". Nell’occasione, per la prima volta, si sono riuniti tutti gli interlocutori nella presa in carico delle persone con SM, con i quali l’Associazione sta lavorando per dare concretezza ai diritti, centralità e dignità ai progetti di vita delle persone. Guglielmo Pacileo, medico di sanità pubblicaBocconi-CERGAS e docente presso il Master in International Healthcare Management and Policy (MIHMEP) della SDA-Bocconi, ha tenuto una relazione sul nuovo modello rappresentato dai PDTA per la sclerosi multipla nel management della salute.

 

Quali innovazioni può portare il PDTA nel management della presa in carico per la sclerosi multipla?
«Per esempio la possibilità di garantire maggiore equità nell’accesso ai servizi, ma anche di garantire sostenibilità senza tagliare servizi alle persone, anzi, riuscendo a far incontrare in modo più efficace la domanda di salute con l’offerta di servizi. Ma potrebbe anche essere un modello per gestire diversamente il cambio di paradigma nella presa in carico delle patologie. Un tempo ogni patologia era trattata in una struttura unica, oggi non è più così: da un lato la maggior complessità della condizione delle persone, dall’altro una maggiore specializzazione disciplinare, fanno sì che si trovino le risposte in strutture diverse e non più in un unico luogo. Quello che il PDTA può fare è ritrovare una visione d’insieme che metta realmente la persona al centro del sistema».

 

Lei dice che le risorse a disposizione del sistema saranno sempre meno, mentre il bisogno di salute crescerà. Come si può far fronte a questa situazione? Cosa può portare un PDTA?
«Solitamente alla diminuzione di risorse si fa fronte tagliando le prestazioni - per esempio eliminando centri ospedalieri piccoli o diminuendo i posti letto all’interno degli ospedali - ma questo non basta, ed è una modalità che tiene conto solo dell’aspetto economico, trascurando invece l’impegno per continuare a garantire un buon livello di servizi necessari per le persone. Il ruolo del PDTA potrebbe essere quello di aiutare ad allocare meglio le risorse che, ragionevolmente, nel medio periodo non saranno superiori ad oggi. In breve, possiamo dire che la contrazione delle risorse, se non gestita attraverso strumenti manageriali innovativi come il PDTA, può determinare la diminuzione di servizi».

 

Dalle relazioni tenute al Convegno di Roma emerge che una grossa fetta di persone con SM, le più gravi, non sono più seguite dal sistema e in un certo modo vengono perse.
«Sì, come si evince dai discorsi dei rappresentanti di diverse Regioni italiane, molte persone con un’accentuata disabilità, una volta finito l’iter delle terapie immunomodulanti, non vengono più seguite e vengono in qualche modo perse dal sistema. Questo ha un effetto devastante dal punto di vista dell’equità per le persone, ma non solo, anche dal punto di vista economico, perché le persone per cui viene meno la presa in carico ritornano comunque al sistema in situazioni più gravi, come il ricovero o accesso al pronto soccorso, con un aggravio sui costi. Oggi si fa molto per le persone che seguono terapie immunomodulanti e c’è molto da fare per chi non può più farle. In questo contesto, come dice AISM, la riabilitazione nella SM è una cura vera e propria, una terapia al pari delle altre».

 

Al Convegno la rappresentante della Regione Veneto Maria Chiara Corti ha detto che sono pronti per andare addirittura oltre il PDTA verso una presa in carico sempre più integrata e personalizzata. È una provocazione? Cosa ne pensa?
«È una provocazione che abbiamo lanciato noi per primi. Sappiamo benissimo che dovremo andare oltre il PDTA. In molti casi i PDTA non sono stati applicati o non sono stati recepiti nella maniera migliore, quindi il lavoro che avrebbero dovuto fare i PDTA ancora non è stato portato a termine, e il salto, ineludibile, per progettare servizi ad hoc sulle persone che presentano più patologie, soprattutto in età più avanzata e con una situazione sempre più complessa, è uno degli obiettivi che il sistema si deve dare nel medio termine».

 

Cosa pensa di questo Convegno? Quali spunti ha portato?
«Giornate come questa sono molto importanti proprio per mettere in rete diversi punti di vista e diversi bagagli di conoscenze ed esperienze. Per me è molto interessante l’opportunità di sentire le esperienze dei tanti attori coinvolti con la SM».

 

In molti interventi è emerso il fatto che il lavoro fatto con la SM può rappresentare un modello anche per altre patologie. Perché?
«La SM, per numeri e per complessità, è un ottimo esempio per ragionare non sono sul modello di presa in carico di patologie croniche ad altà complessità, perché coinvolge figure professionali che normalmente lavorano separatamente in strutture diverse, in setting assistenziali differenti». 

 

Dal Convegno è emerso anche l’ipotesi di linee guida nazionali sul tema della SM, cosa ne pensa?
«Certamente a livello internazionale e nazionale è appropriato parlare di linee guida. Il PDTA è un approccio che va calato nelle realtà delle aziende sanitarie che forniscono concretamente i servizi. I modelli vanno bene, sono strumenti, ma devono essere mirati al fine, e quindi calati nella realtà».