Nella foto: da sinistra Marco Salvetti e Diego Centonze
A poche settimane dalla pubblicazione del parere del Comitato scientifico FISM sulla valutazione dello studio coordinato dal professor Zamboni, abbiamo chiesto al Professor Marco Salvetti - Dipartimento di Scienze neurologiche, Università La Sapienza, Ospedale Sant'Andrea di Roma - e al Professor Diego Centonze - Clinica Neurologica, Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi Tor Vergata e Fondazione Santa Lucia, IRCCS, Roma - membri e portavoce del Comitato Scientifico FISM, di aiutarci ad approfondire e capire meglio le motivazioni alla base del parere scientifico. Ogni passo verso la chiarezza avvicina ciascuno di noi alla libertà di scegliere con consapevolezza come curarsi al meglio e in piena sicurezza.
Sulla correlazione CCSVI e SM ci sono studi negativi ma anche positivi. Perché dunque il Comitato scientifico, nel parere espresso sul protocollo di Brave Dreams, afferma che non c’è evidenza scientifica sul nesso causale tra CCSVI e SM? Centonze: «Tutti gli studi sinora effettuati hanno applicato differenti metodiche di valutazione della CCSVI. E i risultati, di conseguenza, sono stati molto variabili. Non solo perché alcuni studi hanno riportato l’associazione e altri l’hanno negata. Ma anche all’interno degli studi che hanno negato la correlazione le percentuali di riscontro della CCSVI sono enormemente variabili. C’è chi non l’ha trovata mai e chi invece l’ha trovata in una percentuale comunque significativa di pazienti ma anche di controlli sani». Come si potrà mai arrivare a una forte evidenza di connessione tra CCSVI e SM, se non si finanziano studi interventistici che vadano a modificare la situazione e analizzino gli esiti dell’intervento? Centonze: «Non è possibile pensare alla costruzione del secondo piano di un edificio se prima il piano terra e il primo piano non sono consolidati. Per quel che riguarda AISM, si tratta effettivamente di aspettare il completamento di uno studio di prevalenza come CoSMo, per avere quelle informazioni che oggi mancano. Anche a tutela del buon esito di uno studio interventistico, e per non bruciare una teoria che potrebbe avere un fondamento scientifico, è bene aspettare questo fondamento, attraverso i risultati di CoSMo o di altri studi simili, se ce ne saranno a livello internazionale. Questi risultati aiuteranno a selezionare meglio i pazienti. CoSMo potrebbe consentire di identificare la CCSVI in un certo tipo di pazienti, di evidenziare quali sono le caratteristiche cliniche dei pazienti con la CCSVI: ciò consentirebbe di disegnare uno studio interventistico più mirato, evitando l’intervento a quei pazienti che non hanno le caratteristiche giuste e favorendo coloro che, sulla base di uno studio di prevalenza, potrebbero esserne i candidati ideali. Quando ci saranno i dati, e se incoraggeranno studi interventistici, evidentemente ci sarà modo e tempo di ripensare uno studio come quello che ora FISM ha deciso di non finanziare». E si potrà mai arrivare ad avere dati fortemente compatibili? Centonze: «Probabilmente non ci sarà accordo perché, come è giusto che sia, ciascun ricercatore è pronto a giurare sulla qualità del proprio studio e non c’è motivo di pensare che le cose non vadano così. Quindi i ricercatori continueranno ad avere pareri discordanti, difficile che si arrivi a forte omogeneità. Quello che ci si può ragionevolmente aspettare è che ci saranno alcuni studi più credibili di altri, in base alle metodiche utilizzate, alla vastità del campione, alla cecità, all’indipendenza dei valutatori rispetto a coloro che eseguono gli esami e a tutta una serie di parametri scientifici». Si arriverà almeno a definire quale sia la metodica migliore per vedere la CCSVI e per intervenire nel caso lo si reputi utile? Centonze: «Anche questa non è una previsione possibile. Oggi non c’è un accordo su quale sia la metodica più efficace. Attualmente la CCSVI viene valutata sostanzialmente in 3 modi: prima di tutto con l’ecodoppler, che ha a sua volta diverse possibilità di esecuzione, come messo in evidenza per primo dal Professor Zamboni. Poi ci sono le misure di neuroimaging, effettuate tramite risonanza magnetica perfusionale. E poi c’è la flebografia. Probabilmente la risposta migliore verrà combinando queste tre metodiche, e potrebbe essere interessante vedere il grado di congruenza tra i risultati provenienti dalle tre metodiche. Probabilmente solo individuando un algoritmo che tenga presente tutte e tre le metodiche si potrà arrivare a una conclusione. Se mai si arriverà. Perché, al momento, non solo non sappiamo se la CCSVI è associata o meno alla SM, ma di fatto nessuno può ancora giurare sull’esistenza stessa della CCSVI, che potrebbe essere un fenomeno del tutto fisiologico». Cosa vuol dire? Centonze: «La CCSVI viene riscontrata anche in soggetti sani, e diversi studi la rilevano con una frequenza del tutto sovrapponibile a quella che si riscontra nelle persone con SM. Dunque la CCSVI potrebbe essere solo una variabile interindividuale che non abbia nulla a che fare con la sclerosi multipla, ma nemmeno con altre patologie. Questa è un’ipotesi che, rispetto agli studi sinora effettuati, è ancora in campo e non può essere esclusa a priori». Perché i rischi della flebografia diagnostica ed il trattamento di venoplastica sono un elemento di criticità del parere del Comitati scientifico FISM? Salvetti: «La flebografia diagnostica ed il trattamento di venoplastica previsti nello studio Brave Dreams sono procedure invasive. I rischi sono legati all’esposizione a radiazioni, alla procedura di terapie associate, a eventuali trombosi, alle rotture dei vasi. Sono rischi accaduti realmente, non solo teorici. Nella pratica clinica non si prescrive mai un farmaco se non è utile o indispensabile. Quando si tratta di una radiografia o di una terapia antiaggregante o anticoagulante, non le si consiglia neppure, se non è dimostrato che sono davvero utili. Questo criterio deve essere applicato sempre e deve valere anche nella ricerca». Non è forse vero che anche le terapie farmacologiche hanno molti rischi e che si verificano gravi eventi avversi anche nel caso di farmaci già approvati e distribuiti? Centonze: «È evidente: ci sono rischi anche quando si rispettano al massimo tutte le procedure ufficiali della ricerca, come nel caso dei farmaci. E tuttavia in questi casi anche i benefici eventuali sono stati abbondantemente e convincentemente dimostrati. Dunque, quello che si valuta non è solo una questione di rischio, ma il rapporto tra rischi e benefici. Un rischio anche alto è giustificato, diciamo, in presenza di una possibilità di beneficio altrettanto alta. Pensiamo alle terapie antitumorali, pensiamo a terapie immunosoppressive utilizzate per curare malattie gravissime: sono accompagnate da effetti collaterali anche gravi, più seri della malattia che vogliono curare. Ma trovano giustificazione nel fatto che molti studi hanno accertato che il rapporto tra rischi e benefici è comunque spostato a favore dei benefici. Non si possono comparare le valutazioni effettuate sui farmaci e quelle sinora presenti nel caso sulla CCSVI. Riguardo all’intervento per la CCSVI al momento sono certi i rischi ma non c’è nessuna certezza sui benefici eventuali». Perché il Comitato scientifico insiste su argomenti etici e dice che va tutelata la sicurezza delle persone? Salvetti: «Le regole utilizzate dal Comitato scientifico FISM per decidere non sono criteri che ha stabilito arbitrariamente il Comitato stesso, sono utilizzate in ambito scientifico nazionale e internazionale. Valgono per qualunque scienziato, per qualunque ipotesi, per qualunque terapia. Seguire le regole spesso richiede tempi lunghi ma non seguirle può generare rischi e confusione. Siamo consapevoli che per le persone è fondamentale che la scienza acceleri al massimo i propri tempi, al punto che c’è un grande impegno - soprattutto nella ricerca scientifica su diverse malattie - per individuare studi dal disegno innovativo che possano abbreviare i tempi». Ma quale paziente vi ha firmato una delega a decidere al posto suo sulla sicurezza nel poter partecipare o meno a un certo studio? Centonze: «Il rischio del paternalismo e di prendere su di sé la responsabilità di decidere per altri è un problema reale per la scienza. È chiaro che nel momento in cui FISM ha preso la propria decisione su Brave Dreams sapeva bene di esporsi a critiche. Tuttavia è giusto ed è fondamentale che un organismo come AISM - FISM scelga prima i criteri di riferimento su cui poggiare le proprie decisioni sulla ricerca scientifica. E AISM segue da sempre la logica di mettere dati evidenti e sicuri a disposizione delle persone con SM, di non esporle a illusioni, di evitare scorciatoie al buio. In assenza di certezze, AISM è dunque impossibilitata a prendere decisioni. O meglio, come dimostra CoSMo, quando non ci sono evidenze risolutive l’unica linea che AISM vuole seguire è quella di arrivare a quelle sicurezze che mancano ancora, disponibile a progettare e finanziare studi che prima di tutto mettano a disposizione delle persone dati certi grazie a cui possano decidere liberamente e consapevolmente come curarsi. Per una malattia complessa come la SM è forte la possibilità di inseguire chimere nell’individuazione delle cause e delle cure. Il problema è che più si inseguono chimere e più di fatto si rallenta la ricerca, si disperdono energie e risorse, si allontana il momento in cui si potrà arrivare a sconfiggere autenticamente la malattia. Un’Associazione come AISM non può mai rinunciare a lavorare su basi solide, o a collaborare a costruirle, quando mancano. Costi quel che deve costare». Ma non c’è la possibilità che, non finanziando Brave Dreams, tante persone scelgano di andare a farsi operare in modo avventuroso, fuori da ogni protocollo o controllo, decuplicando i propri rischi? Centonze: «Nessuno può pensare di essere giustificato se, per evitare un errore, ne commette un altro. Attualmente, sulla base dei dati disponibili, è sensato ritenere un errore che tante persone si sottopongano a procedure che non hanno dimostrato di essere autenticamente utili. E non avrebbe senso cercare di prevenire questo errore commettendone uno del tutto simile». Voi come medici incontrate quotidianamente molte persone con SM. Che riscontri avete sull’impatto della CCSVI nella loro vita e sulle loro scelte al riguardo? Salvetti: «Le persone che hanno una malattia ben controllata dalle terapie utilizzate non hanno la minima difficoltà ad attendere dati certi prima di ipotizzare un intervento di venoplastica. Diverso è il caso di coloro che, nonostante tutte le terapie possibili, stanno male o continuano a peggiorare. Sento forte empatia con la loro situazione e non sono mai entrato in conflitto con chi ha eventualmente scelto di sottoporsi all’intervento di dilatazione, nonostante sia sempre stato chiaro nel segnalare i rischi e l’incertezza riguardo ai benefici dell’intervento. Continuo a seguire con la massima attenzione diverse persone che si sono fatte operare. Qualcuno dice che sente meno la fatica e la stanchezza, qualcuno dice che ha una migliore coordinazione motoria, qualcuno afferma che non è cambiato niente, qualcuno ha continuato ad avere peggioramenti anche dopo l’intervento. Centonze: «Non c’è un riscontro a senso unico, ogni persona è diversa. Quello che si può fare e che faccio è di dare alle persone gli strumenti disponibili perché prendano decisioni informate e consapevoli. Alcuni sulla base di quello di cui discutiamo trovano ragionevole attendere, altri preferiscono andare comunque a sottoporsi a intervento». E dopo l’intervento tornano a riparlarne? Centonze: «Sì, ne sono tornati parecchi. Pur consapevoli che la nostra sia un’osservazione limitata e senza valore scientifico, noi non abbiamo riscontrato alcun beneficio evidente nei pazienti che sono tornati a dire di essersi sottoposti a intervento. Il percorso più comune che abbiamo osservato in questi due anni, da quando è esploso il fenomeno CCSVI, è che i pazienti inizialmente molto motivati e interessati al fenomeno, perdevano interesse e fiducia dopo essersi sottoposti all’intervento e dopo aver visto loro stessi di non aver ricavato nessun beneficio». La gente ha perso fiducia nei neurologi o nel trattamento di Zamboni? Centonze: «Tutte e due le cose. Il tragitto più comune che abbiamo riscontrato nelle persone è stato quello di chi è stato attivissimo propugnatore dell’intervento, anche su Internet, fino a quando vi si è sottoposto personalmente senza riscontrare alcun beneficio. A quel punto queste stesse persone perdevano interesse al fenomeno e a parlarne ulteriormente». Perché questo ritiro nel privato evitando di partecipare alle discussioni portando la propria esperienza negativa sull’intervento? Non sarebbe meglio testimoniare sempre, per il bene di tutti? Centonze: «La questione ha assunto un contorno a tal punto ideologico che qualsiasi cosa dica «l’avversario» non viene neppure presa in considerazione. Per chi pensa che tutte le pubblicazioni scientifiche siano in realtà false e dettate dai più svariati interessi personali, anche l’eventuale testimonianza di un paziente operato senza frutti visibili ha una possibilità di presa scarsa. Diversi pazienti mi hanno raccontato di casi in cui le persone cui hanno testimoniato la propria esperienza negativa hanno deciso comunque di continuare verso l’intervento, senza neppure prendere in considerazione la testimonianza negativa. Altri si sentono come chi voglia togliere agli altri la speranza solo perché per loro non ha funzionato. E allora è comprensibile che una persona, già delusa per come sta, perda interesse a cercare di convincere chi comunque non si vuole lasciare convincere». Torniamo al parere del Comitato scientifico FISM: cosa vuol dire che per un corretto iter scientifico prima di Brave Dreams servono studi di fase2 sull’effetto benefico del trattamento di venoplastica? Salvetti: «La ricerca scientifica impone che si passi attraverso diverse fasi, una consequenziale all’altra: c’è prima la fase di accertamento della sicurezza di un trattamento (fase 1), seguita una fase per valutare l’efficacia preliminare di quel trattamento (fase 2); viene poi la fase degli studi registrativi (fase 3) e infine la fase degli studi post marketing, ossia effettuati dopo l’approvazione di una certa terapia, per continuare a valutare nel tempo i suoi effetti su tutta la popolazione interessata (fase 4). In questo caso, per la verità, il Comitato scientifico non ha neanche immaginato che fosse necessaria una Fase 1, ma ha ritenuto che fosse necessaria una Fase 2 su un numero più limitato di pazienti prima di passare ad uno studio più ampio». Il professor Zamboni non ha già dimostrato che il trattamento ha un significativo e sicuro effetto benefico? Perché lo studio iniziale del professor Zamboni condotto su 65 persone non può essere considerato studio di fase 1 o 2? Perché di quello studio si criticava il numero troppo esiguo di persone, e ora dello studio Brave Dreams si critica il numero troppo ampio? Salvetti: «Nel caso dello studio pilota del professor Zamboni non era solo una questione di numeri bassi ma anche un problema di disegno dello studio, basato sui dati allora disponibili. Ad esempio, oggi sappiamo che, se l’associazione fra CCSVI ed SM esiste, non è 100% SM, 0% individui sani. Volendo quindi fare uno studio con numeri simili a quelli del primo studio Zamboni lo stesso verrebbe disegnato in modo diverso». Perché l’ampiezza di campione prevista nello studio Brave Dreams è un punto critico del parere del Comitato scientifico FISM? Salvetti: «La ricerca di nuove terapie deve procedere per fasi in considerazione dei potenziali rischi, dei benefici ottenibili e dei costi. Prima di studi così ampi come quello proposto in Brave Dreams è necessario ottenere un ragionevole livello di probabilità che esistano elementi chiave per far prevedere il successo dello studio ed altri elementi chiave che facciano presumere di poter escludere un fallimento rispetto all’obiettivo». Perché AISM boccia Brave Dreams se nel Comitato scientifico che ha redatto il protocollo dello studio interventistico ci sono diversi componenti dello stesso Comitato scientifico FISM? Non c’è conflitto di interessi o incoerenza scientifica? Salvetti: «La partecipazione di membri del Comitato scientifico FISM al disegno di diversi studi sulla CCSVI indica un serio interesse, un elemento di reale apertura di AISM alla questione dell’incidenza eventuale della CCSVI nella SM. Lo studio CoSMo, con il suo immenso sforzo scientifico e organizzativo, dimostra che questo interesse è reale. E anche il fatto che alcuni membri del Comitato scientifico FISM abbiano voluto partecipare alla stesura del protocollo di Brave Dreams dimostra la stessa cosa». Ma se ragionando nel Comitato scientifico FISM e collaborando a CoSMo si arriva a pensare che uno studio come Brave Dreams debba prima aspettare gli esiti di ampi studi di prevalenza, che senso ha impegnarsi poi anche nella messa a punto di un protocollo interventistico? Centonze: «In realtà il protocollo di Brave Dreams è stato redatto molto tempo prima della pubblicazione di dati che hanno ulteriormente messo in dubbio l’esistenza della CCSVI e di una sua correlazione significativa con la SM. Ma sarebbe potuto accadere il contrario, e mentre si metteva a punto il protocollo di Brave Dreams avrebbero potuto essere pubblicati dati che incofutabilmente incoraggiassero un intervento così ampio come quello proposto da Brave Dreams. In questo secondo caso il protocollo avrebbe potuto essere assolutamente tempestivo e ottenere piena approvazione di finanziamento. Invece, i dubbi che c’erano sei mesi fa al momento della sottomissione del protocollo di Brave Dreams a FISM ora non si sono chiariti e anzi sono diventati più fitti in base ai lavori pubblicati negli ultimi mesi». Abbiamo capito. Dateci comunque una risposta secca: a vostro avviso è da escludere a priori che AISM finanzi prima o poi uno studio interventistico? Salvetti: «Adesso uno studio come Brave Dreams sembra prematuro perché possiamo e dobbiamo ancora acquisire dati certi sull'eventuale correlazione tra CCSVI e SM. Se e quando verrà identificata la sottopopolazione di persone con SM che presentino malformazioni venose che possa valere la pena di modificare, allora si potrà finanziare uno studio interventistico». Centonze: «Il Comitato scientifico FISM ha giudicato il Progetto non finanziabile adesso, perché i rischi ancora appaiono troppo alti e non giustificati rispetto alle evidenze esistenti di beneficio. Chiaramente nel momento in cui le evidenze di beneficio aumenteranno, allora anche la valutazione dei rischi assumerà una dimensione più contenuta e le scelte attuali potranno essere riviste». Ma quando e come potrà accadere? Centonze: «Un cambiamento di prospettiva potrà avvenire nel momento in cui uno studio ampio, esteso, indipendente, che rispetti criteri il più obiettivi possibili, troverà non solo una significativa associazione o prevalenza della CCSVI nella SM rispetto ai controlli sani, ma permetterà anche una associazione tra CCSVI e gravità clinica della SM in quella stessa persona. Soltanto in questo modo si potrà presuppore che rimuovere la CCSVI possa alleviare sintomi e decorso della malattia, migliorando la qualità della vita. Da CoSMo ci aspettiamo tutte queste risposte. È importante valutare se la CCSVI è maggiormente presente nei pazienti con SM rispetto ai controlli sani. Ed è importante anche verificare se e come i pazienti con SM e CCSVI abbiano una malattia più grave rispetto a chi ha la SM ma non la CCSVI. Se si verificasse il caso teorico di un’associazione inversa, in base a cui i pazienti con SM e CCSVI stessero meglio, con un livello di gravità inferiore rispetto a coloro che hanno la SM senza avere la CCSVI, allora sarebbe ipotizzabile che la CCSVI, invece di essere parte della patogenesi e dello sviluppo della malattia, possa avere un ruolo di compensazione della SM, essere una strategia che l’organismo mette in atto per contenere gli effetti della malattia. In questo caso teorico, che nessuno può oggi giurare che esista, ma nemmeno che non esista, rimuovere le malformazioni venose potrebbe persino essere dannoso. Insomma, prima di intervenire non basterà nemmeno trovare la CCSVI in associazione alla SM, ma bisognerà valutare se e in quali persone la si trova in associazione a un decorso clinico più severo. Per quelle persone, quando le identificheremo, varrà la pena effettuare studi interventistici». Da chi è composto il Comitato scientifico FISM Centonze: «Il Comitato scientifico FISM è costituito da medici e ricercatori esperti nelle varie discipline: neurologia, immunologia, genetica, riabilitazione, radiologia, scienze dell’alimentazione. Sono ricercatori che lavorano con responsabilità, impegno e professionalità e che per la loro competenza sono stati chiamati a far parte del Comitato scientifico FISM».
Salvetti: «È proprio la contraddittorietà dei risultati sinora ottenuti nei diversi studi pubblicati ad oggi a confermare che manca questa evidenza scientifica sul nesso causale tra CCSVI e SM. Quando dimostrazioni di questo tipo mancano, quando l’associazione tra CCSVI e SM non è dimostrata e i dati non sono disponibili, non è corretto finanziare uno studio come Brave Dreams. Ciò però non vuol dire che la dimostrazione non possa arrivare in futuro».