«In questi mesi di pandemia abbiamo dovuto imparare che ogni nostro comportamento può avere conseguenze importanti per la nostra salute di singoli ma anche per la nostra collettività e per la tenuta del sistema sanitario. Oggi più che mai, la ricerca, la medicina, la salute sono un gioco di squadra. E allora non dobbiamo lasciare il paziente in panchina. Il paziente deve essere un giocatore in campo».
Guendalina Graffigna, professoressa di Psicologia dei consumi e della salute presso l’Università Cattolica di Piacenza, è l’autrice che al mondo ha scritto di più sul tema del «patient engagement», o come traduce lei stessa, del «coinvolgimento attivo» della persona che si trova ad affrontare una malattia. Proprio su questo tema interviene, il 26 ottobre, al Congresso scientifico annuale della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla.
Per AISM, nata dalle persone con sclerosi multipla – persone, appunto, non malati - si tratta di una questione cruciale. Non per caso, negli ultimi anni, l’Associazione con la sua Fondazione ha coordinato l’importante progetto MULTI-ACT, finanziato dall’Unione Europea, nel quale la persona con SM ha partecipato come stakeholder importante allo stesso tavolo degli altri attori dell’ecosistema ricerca-salute, per mettere le basi di una scienza «con il paziente» (Science with Patient Input) e «del paziente» (Science of Patient Input).
Il modello del Patient Health Engagement
«Possiamo oggi parlare – spiega Graffigna – di Patient Health Engagement, ossia di un modello psicologico e scientifico che prova a descrivere e studiare nelle sue diverse fasi l’evoluzione psicologica del processo di coinvolgimento attivo del paziente nei percorsi di cura e salute. La prima posizione esperienziale che si sperimenta viene chiamata dalle stesse persone “black out”. Si verifica quando ti arriva la prima diagnosi o ci si ritrova dentro un aggravamento della sintomatologia: ci si sente perduti, frastornati, bloccati, incapaci di reagire».
Ma non ci si ferma mai al blackout e, dopo il tempo che serve a ciascuno per una seria elaborazione psicologica del vissuto, «arriviamo a quella che abbiamo chiamato posizione di “allerta”. A un certo punto si inizia ad avere una prima comprensione della condizione di malattia in cui ci si è venuti a trovare. Spesso, qui, subentra uno stato emotivo di ansia disorganizzata, per cui la persona si attiva anche molto ma in modo disorganizzato, talvolta in modo disfunzionale per la propria cura e per la tenuta stessa del sistema sanitario».
Fino a quando – anche questa è esperienza condivisa – si arriva a una posizione di “adesione”: «la persona – continua Graffigna – arriva a una maggiore comprensione delle implicazioni della propria diagnosi e della terapia. Inizia ad accettare la propria condizione, ad essere resiliente sul piano emotivo, a sviluppare le prime buone pratiche di aderenza terapeutica. Ma in questa fase la persona è ancora un po’ fragile e bastano minimi cambiamenti - il periodo di vacanza, il momento in cui il proprio medico di riferimento va in vacanza – per tornare un po’ indietro nella propria capacità di coinvolgimento attivo.
Infine arriviamo alla fase del “progetto eudaimonico”, cioè a una situazione di equilibrio psicofisico in cui riusciamo a fare un salto mentale ed emotivo per cui la malattia rimane un fardello cui fare fronte ma che non elimina quelle che sono le forze motivazionali, le possibilità di avere una visione positiva sulla nostra qualità di vita».
A un certo punto, insomma, la persona continua – o riprende – a percepirsi anzitutto come persona, nonostante la sua condizione clinica. E questo le permette di avere una maggiore forza motivazionale, una maggiore resilienza per essere effettivamente proattiva nell’aderenza terapeutica e un partner attivo nel sistema sanitario.
«Il passo in più che dobbiamo fare»
In questa storia del Patient Health Engagement si ha l’impressione che ci sia ancora molta teoria che fatica a tradursi in pratica, sia dal punto di vista della persona che del sistema sanitario. Qual è il passo da aggiungere ora, per passare veramente dal dire al fare?
«Penso che ci sia anzitutto necessità di un cambiamento culturale profondo di cosa voglia dire prendersi cura della salute e di cosa voglia dire essere parte di un Sistema Sanitario Nazionale. Nella società, nella vita, è necessario parlare e sentire parlare di “patient engagement” prima di diventare paziente. Tutti noi siamo chiamati a cambiare mentalità, a passare dall’essere e dal viverci come puri clienti finali della prestazione per la salute al renderci conto che siamo tutti parte attiva di questo sistema di salute. Dall’altra parte questo può essere possibile se il cambiamento culturale avviene non solo nel cittadino ma anche a livello organizzativo, politico, istituzionale: c’è bisogno di politiche che facilitino e favoriscano la partecipazione attiva dei pazienti e delle loro organizzazioni di rappresentanza nel percorso di salute. C’è necessità di rivedere i modelli organizzativi per identificare i momenti cruciali entro cui raccogliere il punto di vista del paziente e metterlo a sistema. Insomma fare il patient engagement nel prossimo futuro vorrà dire non solo realizzare il migliore servizio sanitario possibile per il paziente ma farlo assieme al paziente. Il paziente può essere portatore di creatività, di innovatività, di innovazione, di spunti. Cogliere le aspettative di qualità di cura che ha il paziente può avere un portato rivoluzionario e innovativo per definire i modelli di intervento».
Se questo è il tempo della “scienza condivisa” e della compartecipazione di ogni cittadino all’avanzamento della ricerca scientifica, iniziamo noi per primi ad alzarci dalla panchina e ad entrare in campo. La ricerca scientifica e il sistema ricerca-salute è un punto nodale dell’Agenda della SM, anche della nuova Agenda della SM 2025 che stiamo scrivendo insieme.
Hai esperienza diretta di partecipazione nei percorsi di ricerca e sperimentazione? Come dovrebbe cambiare il mondo della ricerca per rappresentare sempre meglio l’esperienza le aspettative delle persone? Scrivi a agenda2025@aism.it: per dare il tuo contributo |
Il Congresso scientifico annuale FISM 2021 è stato realizzato con la sponsorizzazione non condizionante di Sanofi S.r.l, Merck Serono S.p.A., Biogen Italia S.r.l., Janssen-Cilag SpA, Novartis Farma S.p.A. e Celgene Italia S.r.l.