La riabilitazione è terapia per le persone con sclerosi multipla (SM), perché aiuta a gestire i sintomi, può ridurre la disabilità e migliorare i movimenti e le performance cognitive. Da anni nel campo della riabilitazione, soprattutto a livello di ricerca, hanno fatto capolino strumenti di realtà virtuale, anche per la sclerosi multipla.
Di recente il campo si è allargato anche a includere gli strumenti di realtà virtuale completamente immersiva: possono avere un posto nella riabilitazione delle persone con SM? Sì, in aggiunta ai trattamenti riabilitativi tradizionali, ma vanno tagliati sulla persona e sulla malattia per ottimizzarne i benefici. Sono questi i messaggi che arrivano da uno studio, finanziato da AISM e la sua Fondazione italiana sclerosi multipla (FISM), e che ha coinvolto l'Università degli studi di Cagliari, con il Centro Sclerosi multipla della Sardegna, l'Università Statale di Milano e l'IRCCS S.Maria Nascente – Fondazione Don Gnocchi di Milano.
«Partendo dal fatto che poco finora si era fatto con gli strumenti di realtà virtuale immersivi, specialmente sulla riabilitazione degli arti superiori, abbiamo deciso di concentrarci proprio su questi aspetti, grazie all'utilizzo di un visore di realtà virtuale commerciale», spiega Massimiliano Pau, Professore Ordinario dell'Università degli Studi di Cagliari, tra gli autori della ricerca.
Gli arti superiori delle persone con sclerosi multipla infatti possono avere meno sensibilità, forza e destrezza, limitando i gesti e la manualità dei pazienti, ricordano gli scienziati in apertura del paper. Per capire se alcune sedute con un visore di realtà virtuale immersiva (Oculus Rift) potessero aiutare, i ricercatori hanno coinvolto un piccolo gruppo di persone con SM (20) in due diversi programmi di riabilitazione e usato delle scale cliniche per misurare gli effetti di questi approcci.
«Abbiamo visto che c'è una certa efficacia, soprattutto per quel che riguarda la manualità grossolana, come atteso - riprende Pau – anche se l'effetto non è ancora ben compreso e non ha riguardato la manualità fine». Né ha modificato il modo delle persone di svolgere le attività quotidiane, secondo quanto da loro riferito, o migliorato la forza e gli aspetti legati alla fatica. Segni di efficacia però ci sono, soprattutto per il braccio meno problematico, ma sono suscettibili di miglioramento senz'altro, anche tenendo in considerazione alcuni aspetti: «In questo caso abbiamo utilizzato giochi disponibili a livello commerciale, i cui movimenti associati non erano stati pensati per persone con disabilità e tanto meno sclerosi multipla, ma non solo».
Anche le scale utilizzate – strumenti di valutazione clinica – sono poco adatte a identificare eventuali miglioramenti, perché non rappresentano appieno le azioni quotidiane, aggiunge Pau. Una di queste scale, usata per misurare la manualità grossolana, prevedeva il Box and Block Test (BBT), in cui i pazienti devono afferrare e trasportare da una parte all'altra dei blocchi, ma a sua volta non non misura l'attività quotidiana.
«Come pubblicheremo a breve, abbiamo anche visto l'efficacia derivante dall'uso di strumenti per la riabilitazione simili che emerge quando usiamo metodi di valutazione quantitativa sui movimenti di vita quotidiana, come quelli che si fanno con le braccia per bere e mangiare», aggiunte Pau. «La tecnologia c'è, è giovane, e se è vero che i pazienti hanno riferito poca famigliarità e comodità con lo strumento, parliamo di persone in questo caso non giovanissime (l'età media era di 56 anni circa), con una lunga storia di malattia e un elevato livello di disabilità».
Un filone, questo, in cui si aprono prospettive promettenti. Ne è convinto anche Davide Cattaneo, ricercatore all'Università degli Studi di Milano e responsabile del laboratorio LaRiCE (Laboratorio di Ricerca Cammino ed Equilibrio) alla Fondazione Don Gnocchi che ha preso parte allo studio. «Gli strumenti di realtà virtuale hanno dalla loro il fatto che sono divertenti e coinvolgenti, ma non sono cuciti sui pazienti con sclerosi multipla. Sarebbe compito di ingegneri e riabilitatori realizzarne alcuni mirati per le persone con SM, come strumento ad hoc”. Ecco dunque che sebbene si parli di strumenti non ancora pronti e che potrebbero essere usati in aggiunta ai protocolli attuali e non in alternativa, quello sulla realtà virtuale immersiva è un lavoro che vale la pena proseguire, per diversi motivi: «La riabilitazione ha un effetto clinico ma i suoi effetti sono spesso fugaci: dare ai pazienti qualcosa che possano fare in autonomia, a casa, consentirebbe magari di mantenere i risultati raggiunti. Al tempo stesso aggiungerla ai protocolli riabilitativi attualmente disponibili potrebbe potenziarne l'efficacia. E da ultimo – conclude Cattaneo – consentirebbe di integrare le sedute riabilitative, magari concentrate su altri problemi come i disturbi della marcia e dell'equilibrio e gestiti dal terapista, con attività che il paziente può autogestire”.
Referenza
Titolo: Effects of immersive virtual reality on upper limb function in subjects with multiple sclerosis: A cross-over study
Autori: Rita Bertoni, Fabiola Giovanna Mestanza Mattos, Micaela Porta, Federico Arippa, Eleonora Cocco, Massimiliano Pau, Davide Cattaneo
Rivista: Multiple Sclerosis and Related Disorders
Doi: https://doi.org/10.1016/j.msard.2022.104004