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17/02/2011

Studio AISM-FISM: parla il dott Malferrari

 

Presidente della Società Italiana Interdisciplinare Neurovascolare (SINV), sonologo centrale della sperimentazione per scoprire la correlazione tra CCSVI e SM. Ci spiega i dettagli dello studio e perchè è così importante per aver risposte certe

 

 

«Oggi anche a Reggio Emilia abbiamo iniziato ad effettuare gli esami sonologici che verranno inseriti tra i 2000 studiati nello studio multicentrico AISM-FISM sulle possibili correlazioni tra SM e CCSVI. La prima meta era partire e ce l’abbiamo fatta». La soddisfazione per un nuovo passo deciso verso le risposte che le persone con SM stanno aspettando è leggera, composta eppure palpabile nelle parole del dottor Giovanni Malferrari. Presidente della Società Italiana Interdisciplinare Neurovascolare (SINV), attuale Responsabile della Struttura semplice per la Patologia Cerebrovascolare dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, il dottor Malferrari è uno dei tre esperti centrali, insieme al Professor Stolz dell’Università di Giessen (Germania) e al dottor Del Sette dell’Ospedale di La Spezia, che leggeranno tutti gli esami effettuati nei 41 Centri italiani partecipanti al vasto studio dell’AISM. Insieme al dottor Malferrari, da tempo attivo nella ricerca nel campo neurosonologico, docente all’Università di Modena e Reggio Emilia e all’Università di Padova, siamo entrati «dentro» la notizia, per approfondire e chiarire al meglio la complessità ma soprattutto il valore del percorso avviato dall’AISM.

 

Perché, dottor Malferrari, era così importante partire anche a Reggio Emilia con lo studio AISM-FISM?
«Qui arrivano persone con SM anche dall’Europa o dal Libano a chiedere chiarezza sulla CCSVI. L’attesa è alta e la risposta deve essere concreta e rapida».

 

Non c’è rischio che la necessità di essere rapidi induca in errori di esecuzione e valutazione degli esami?
«Tenendo ben chiara davanti a noi la bussola delle pressanti esigenze delle persone, ci siamo presi tutto il tempo che serve. Anche perché, come nel mio caso, la nostra preparazione viene da lontano. Mi occupo di neurosonologia dal 1988. Nel 2007 ho pubblicato un manuale dedicato all’«Ecocolordoppler transcranico». E già lì c’era un capitolo sullo studio neurosonologico del sistema venoso. Il neurologo con formazione neurosonologica si occupa da tempo di studiare l’emodinamica venosa, che è peraltro implicata in numerose patologie neurologiche, a prescindere dalla patologia demielinizzante, come ad esempio l’amnesia globale transitoria, la cefalea primaria da sforzo, le alterazioni del circolo liquorale, il monitoraggio dell’ipertensione endocranica, le trombosi venose cerebrali e giugulari».

 

Dunque non c’è solo il professor Zamboni a essere abilitato per formare esperti sulle stenosi venose
«Da diversi anni all’Arcispedale Santa Maria Nuova offriamo stage di alta formazione neurosonologica, suddivisi per livelli e resi sempre più personalizzati. La formazione è uno dei compiti principali anche della SINV, di cui sono presidente. Ed è al livello delle principali società neurovascolari italiane che c’è stato un proficuo incontro sia professionale che umano col dottor Del Sette, responsabile centrale con me dello studio AISM-FISM, e con una vasta e qualificata rete di colleghi sonologi in tutto il territorio nazionale. Possiamo citare il dottor Sanguigni di San Benedetto del Tronto e il dottor Carraro di Trieste che hanno a loro volta la certificazione non solo di sonologi sperimentatori ma anche di sonologi formatori per lo studio AISM-FISM. E una cosa l’abbiamo già scoperta: si può lavorare insieme».

 

Può fare i nomi e i cognomi dei sonologi dello studio?
«Esiste una sorta di ‘albero sonologico’ in base al quale, tra i sonologi che abbiamo selezionato riferendoci  a curriculum, attività e pubblicazioni pregresse, abbiamo identificato 6 tutor che a loro volta ‘gemmeranno’ altri colleghi abilitati a svolgere l’indagine venosa. Oltre al sottoscritto, a Del Sette, Carraro e Sanguigni, già citati, gli altri tutor sono il dottor Baracchini di Padova e il dottor Mancini di Napoli. Io, per esempio, sto seguendo la formazione dei colleghi di Milano (San Raffaele, Don Gnocchi), di Sassari, di Cagliari e di Bologna (S. Orsola). Noi, oltre a seguire il percorso di formazione secondo iter e criteri standardizzati, faremo da riferimento per i colleghi in qualsiasi momento dello studio. E questa è una garanzia di omogeneità»

 

Con quali strumenti, concretamente, si effettuano gli esami?
«Qui c’è un altro passaggio fondamentale: bisogna fare in modo che le macchine utilizzate siano predisposte – in gergo tecnico diciamo : ‘settate’ –  per l’analisi delle vene».

 

Significa che non giocano solo variabili soggettive, ma anche fattori legati ai macchinari?
«Esatto: qui conta non solo il cavaliere, ma anche il cavallo. Anche il più geniale dei sonologi non potrebbe vedere adeguatamente le vene se utilizza una macchina settata per vedere le arterie. Lo strumento che usiamo deve essere regolato con particolari frequenze, profondità e filtri. Bisogna sistemare in modo opportuno le PRF, cioè le caratteristiche della ricezione. Anche la sonda deve avere determinate peculiarità. Tutte le diverse macchine usate, insomma, devono avere una caratterizzazione ben definita per dare risposte tra loro coerenti».

 

Le risposte, comunque, le dà sempre il sonologo. Come viene ‘settato’- se si può usare questa analogia - il singolo operatore per garantire esiti omogenei?
«Dopo aver effettuato gli stage formativi e aver settato la macchina, verifichiamo direttamente come il collega effettua gli esami e, se ci sono i requisiti, certifichiamo la sua idoneità a operare nello studio. Abbiamo realizzato una formazione ad personam, centrata non solo su quello che volevamo ottenere, ma anche sull’abilità di partenza del singolo sonologo. Una formazione per l’analisi delle vene è completamente diversa da quella per l’analisi delle arterie. In questo caso bisogna avere una precisa conoscenza, anche anatomica, di tutti i vasi di deflusso venoso, sia quelli intracranici che quelli extracranici. Inoltre, come ha già spiegato in una precedente intervista per AISM il dottor Del Sette, abbiamo lavorato per sei mesi in modo intenso e persino pignolo sulla messa a punto di un innovativo protocollo sonologico in base a cui bisogna rigorosamente eseguire l’esame».

 

Ci spiega dal suo punto di vista perché questo protocollo è, insieme, una novità e una garanzia per i risultati attesi dallo studio AISM?
«Abbiamo anzitutto messo a punto un protocollo di base, costruito seguendo le indicazioni del professor Zamboni, che all’inizio era presente nello studio. Abbiamo poi introdotto nello studio nuove variabili, correlate con lo spettro del flusso sanguigno, in termini di direzione e velocità, elaborando un protocollo avanzato, applicabile da centri di maggiore esperienza».

 

Vuol dire che faremo tutto quello che Zamboni ha previsto e indicato, ma che andremo anche oltre ampliando  l’indagine?
«Ë così. Non solo ampliamo, ma valutiamo tutto l’albero venoso giugulare in diversi punti. Di questo, altra novità rilevante, calcoliamo anche la portata del sangue in entrata, cioè sulle carotidi, e del sangue in uscita dalle vene. Studiamo inoltre le vene vertebrali, o meglio le vene del plesso vertebrale in alcuni punti cruciali».

 

Significa che bisogna capire da che parte sta andando il sangue?
«Il problema è proprio questo: il drenaggio venoso normale presenta una elevata variabilità, con una quota di persone in cui sono attivate delle vie di deflusso ulteriori rispetto a quella giugulare e vertebrale, e con vari gradi di contributo al deflusso da parte di queste ultime. Abbiamo lavorato duramente per definire in modo pignolo e sistematico come andare ad analizzare tutte queste possibilità dell’emodinamica venosa dei soggetti partecipanti».

 

Possiamo dare un’immagine sintetica del protocollo sonologico di questo studio?
«Valutando tutta la letteratura scientifica, diretta e indiretta su questa problematica, abbiamo messo a punto una disamina totale di ciò che è necessario conoscere a livello intra cranico ed extra cranico. Al di là di tutti i dettagli, possiamo dire che il nostro studio è caratterizzato dalla completezza».

 

La meticolosità di ricognizione colpisce anche noi non addetti ai lavori. Ma un dubbio critico resta: e se tutti questi esami minuziosi fossero sbagliati? Se fosse errato il metodo con cui si effettuano gli esami?
«In parallelo allo studio multicentrico, insieme ad alcuni Centri stiamo lavorando anche per validare il metodo di studio utilizzato. Inoltre qui a Reggio Emilia abbiamo messo a punto una tecnica innovativa che ci consente di integrare gli esiti osservabili tramite l’ecografia doppler con le indagini neuro radiologiche».

 

Ci può anticipare in cosa consista questa novità tecnologica?
«Abbiamo utilizzato un sistema, che si chiama Virtual Navigator. Ë un macchinario già in commercio, che fondamentalmente fonde in tempo reale le immagini di ecografia con le immagini neuro radiologiche di risonanza magnetica, cui il soggetto può essere sottoposto prima dell’ecografia venosa. Questo macchinario viene usato per ecografie del fegato e della prostata. Noi per la prima volta lo abbiamo implementato e fatto crescere in un’altra applicazione per indagare il cranio».

 

Vuol dire che mentre si effettua l’ecografia con gli ultrasuoni si può vedere anche sovrapposta l’immagine della risonanza magnetica nel punto in cui si trova la sonda del sonologo?
«C’è un magnete, nell’ecografo, che va a riconoscere un punto osseo del capo del paziente nella risonanza magnetica e sovrappone in modo corretto e in tempo reale l’immagine della risonanza col punto dell’ecografia in corso assimilabile allo stesso punto evidenziato nella risonanza. Così le due immagini si possono integrare in tempo reale: non è dunque un’operazione a posteriori su due esami indipendenti, cosa che si potrebbe fare con un qualsiasi software. Con una stereotassi in tempo reale, oltre a trovare la vena (ecografia) si riesce a individuare la direzione di questa vena (grazie alla radiografia con risonanza magnetica). Fondamentalmente si riesce a dare un nome e un cognome alla vena che si sta insonando. Questo approccio innovativo può costituire un punto di forza metodologico per consolidare i risultati, in qualsiasi direzione vadano, che saranno ottenuti sia per la sclerosi multipla che per le altre patologie neurodegenerative coinvolte nello studio». (vedi foto in basso).

 

In altri termini, un percorso di studio nato per la SM potrà fornire informazioni attualmente non disponibili su diverse patologie?
«Il lavoro fatto da FISM e da AISM, soprattutto per i colleghi che hanno avuto la possibilità di fare il percorso tutoriale di formazione, è veramente un’opera di grandissima sensibilizzazione culturale in ambiente medico. Io, per diventare un sonologo esperto, alla fine degli anni ‘90 ho dovuto andare a studiare in Germania. Qui c’è la possibilità di imparare in Italia e su grossi numeri, insieme a diversi colleghi, creando una rete di connessioni in ambito nazionale».

 

Questo è un risultato che resterà qualsiasi sia l’esito dello studio epidemiologico?
«Certo. Io non so che risultati possa dare lo studio epidemiologico su CCSVI e SM. Ora è prematuro lanciarsi in ipotesi. Posso dire sicuramente che AISM con la sua Fondazione con questo studio ha già raggiunto un obiettivo fondamentale per la vita delle persone con SM, che è quello di fare cultura e portarla dentro gli ospedali di tutti i giorni e a tutti i livelli medici. Ci sono medici che lavorano sul campo, che fanno già esami su persone con SM, i quali conosceranno e già conoscono, per la formazione effettuata per lo studio AISM-FISM, il circolo intracranico ed extracranico. Penso che le persone che credono in AISM e la aiutano tutti i giorni a realizzare la missione associativa debbano essere molto orgogliose di ciò che è stato fatto, perché il primo obiettivo, che è quello di conoscere, far conoscere e portare a tutti i livelli la patologia venosa è già stato ottenuto. Da qui in avanti in molti Centri disseminati in tutta Italia sarà possibile per ogni persona attingere a una nuova eccellenza di indagine sulla propria situazione. In tal senso, a prescindere da tutto, FISM e AISM hanno svolto un compito educativo importantissimo, offrendo informazione e formazione».

 

Tornando invece allo studio epidemiologico, cosa si devono aspettare direttamente le persone con sclerosi multipla?
«Intanto si possono aspettare una risposta, qualunque essa sia, ottenuta a livello multicentrico su un gran numero di pazienti, sulla associazione epidemiologica fra alterazioni dell’emodinamica venosa e SM. Aspettiamo i risultati».

 

Si metta nei miei panni: se sto male e le cure tradizionali non hanno effetto su di me, cosa devo fare oggi?
«Per quanto riguarda il problema delle vene la cosa importante per chi ha la SM può essere l’arruolamento nello studio, con l’analisi sonologica fatta in un Centro esperto tra quelli individuati dal percorso formativo FISM. Le ulteriori eventuali decisioni dipenderanno dai risultati complessivi dello studio.».

 

Quanto tempo ci vuole?
«Complessivamente lo studio richiede un anno. Sono 2000 casi da valutare e analizzare, perché per poter dare delle risposte di peso occorrono grandi numeri, che rispondano a criteri di validazione e conferma rigorosi».

 

E nel frattempo?
«Le persone abbiano la certezza che da tempo ci siamo adoperati con cura per pianificare lo studio e garantire la formazione degli operatori per essere in grado di fornire risposte certe alle domande che tutti si stanno ponendo sulla relazione CCSVI-SM. Certamente ci sono tempi su cui, ahimè, dobbiamo stare, lavorando in modo che sia aggiungano progressivamente tutti i 41 Centri partecipanti così da coprire tutto il territorio nazionale e raggiungere un campione che rappresenti in modo significativo tutte le persone con SM in Italia».

 

Ma qui da lei vengono le persone a dire: “Possiamo mettere il palloncino, perché non ci permettete di farci stappare le vene occluse”?
«Ho effettuato tanti esami sonologici finché non sono partito con lo studio. Ora mi sono fermato dallo svolgere qualunque tipo di esame se non per i pazienti che entrano nello studio. Sabato scorso è arrivata da Manchester una signora con SM che aveva visto il mio curriculum su Internet. Aveva fatto l’esame in Inghilterra pagando una quantità enorme di sterline. Voleva un esame in doppio cieco per accertare se aveva o no la CCSVI: avrebbe pagato. Io questa signora l’ho salutata cordialmente e le ho spiegato l’attuale situazione delle conoscenze scientifiche e dello studio in corso, ma non ho fatto nessun tipo di esame. Voleva la conferma per andarsi a far eseguire l’intervento».

 

E cosa ha detto alla signora?
«Le ho detto che qualunque sia stato il referto dell’esaminatore che l’ha valutata, per prendere decisioni di carattere terapeutico mancano i dati, iniziando da informazioni sui grossi numeri sulla correlazione CCSVI - SM. Occorre avere dati certi prima di intervenire, per esempio potrebbe esserci una correlazione magari solo su un tipo di sclerosi multipla o su alcune manifestazioni cliniche, che non è detto che quella paziente abbia».

Giuseppe Gazzola

 

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