Si chiama «sclerosi multipla» perché, sin da quando non la si conosceva quasi per nulla, si era comunque capito che era – ed è – una malattia complessa, complicata da affrontare, con mille risvolti di cui tenere conto e molteplici impatti sulla vita delle persone cui viene diagnosticata. Per questo la lunga strada della ricerca per risolvere tutti i problemi alla sclerosi multipla è sempre di più un percorso che vede coinvolti tanti ‘protagonisti’ con competenze, finalità, esigenze, aspettative differenti, tutti interessati a trovare insieme quelle risposte all’emergenza SM che nessuno saprebbe individuare da solo.
Oggi, questi approcci che mettono attorno a uno stesso tavolo «attori diversi» si stanno diffondendo e AISM vi gioca un ruolo importante. Ne parla al Congresso FISM il professor Giancarlo Comi, Coordinatore Area Neurologica e Direttore Istituto Neurologia Sperimentale, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, Presidente della European Charcot Foundation, un’organizzazione «multistakeholder» indipendente che coinvolge la comunità scientifica dei ricercatori, le Università, organizzazioni private, l’industria farmaceutica e le associazioni SM d’Europa.
Partiamo dalla novità, professore: AISM, la Fondazione Internazionale Sclerosi Multipla (MSIF) e European Charcot Foundation firmano un nuovo accordo di collaborazione. Di cosa si tratta?
«Nata dal Piano Strategico 2017-2021 della MSIF questa nuova iniziativa si impegna a dare sostanza scientifica ai cosiddetti «patient reported outcome» (PRO) e si chiama «Global PRO (for) MS, joint global initiative. La Federazione Internazionale SM, European Charcot Foundation e AISM, che fungerà da “leading agency” (organizzazione- guida), hanno scelto di condividere obiettivi, governance e modelli operativi per sviluppare misure scientifiche attraverso cui rappresentare la prospettiva della persona con SM, dando valore e maggiore qualità all’informazione che viene dalle stesse persone con SM».
In pratica, cosa sarebbero questi Patient Reported Outcome?
«Le persone con SM sono le prime esperte di cosa significa vivere con questa malattia, dell’impatto che ha un trattamento, degli aspetti decisivi della loro vita cui deve rispondere un nuovo farmaco o intervento riabilitativo. Perché la loro voce su questi temi abbia un senso pieno e condivisibile da tutti gli attori in campo, deve essere scientificamente qualificata. La voce della persona non può essere un puro parere personale (‘io la penso così’), ma deve basarsi su indicatori scientificamente solidi. Parliamo oggi di «patient-oriented science», della necessità di costruire una solida «scienza orientata al paziente». L’ottimizzazione dei “patient reported outcome” garantirà nel prossimo futuro una partecipazione informata e di qualità delle persone con SM ai processi decisionali della scienza, dell’industria farmaceutica e delle stesse istituzioni politiche che devono garantire certi trattamenti e prestazioni».
Perché oggi vanno di moda le iniziative che coinvolgono stakeholder diversi?
«Personalmente, ho impiegato un po’ di tempo per capire cosa vorrebbe indicare la parola «stakeholder». Direi che è l’insieme di coloro che, essendo portatori di competenze, finalità e caratteristiche diverse, partecipano a una iniziativa comune e concertata. L’evoluzione della scienza, e anche dell’economia, hanno fatto sì che diventi sempre più complesso affrontare problemi e portarli a soluzione. Non è più tempo di orticelli e di recinti, siamo in un’epoca globale. Per rispondere alle sfide ancora aperte che la sclerosi multipla ci lancia, occorre mettere insieme tutti coloro che hanno una qualche attinenza con quel problema e fare in modo che la soluzione venga generata con un contributo di tutti».
Qual è, dal suo punto di vista, l’ingrediente che non può mancare nelle iniziative multistakeholder?
«Ogni partecipante si siede allo stesso tavolo degli altri essendo anche portatore di un proprio interesse, di una visione e di una strategia di soluzione. Per essere veramente attratti a lavorare insieme, tutti i partecipanti ne devono ricavare qualcosa, un risultato che da soli non riuscirebbero ad avere o che comunque richiederebbe molto più tempo e maggiori risorse. Ed è meglio se, fin dall’inizio, ciascuno gioca a carte scoperte e dichiara i propri scopi, obiettivi e la necessità che lo spinge a partecipare e a mettere a disposizione le proprie competenze e conoscenze».
Convenienza e necessità sono i due motori delle iniziative multistakeholder?
«Direi di sì. Se un certo problema fosse per qualcuno dei componenti risolvibile diversamente, più semplicemente e rapidamente, allora l’iniziativa diventerebbe una ridondanza priva di senso autentico. Aggiungerei inoltre che di solito dentro una iniziativa multistakeholder i diversi partecipanti non lavorano come singoli ma sono rappresentanti di gruppi nei quali ciascuno è raccolto, compresa l’Associazione delle persone con sclerosi multipla. Il fatto di mettere insieme competenze, interessi, visioni, strategie, il fatto che ciascuno deve avere la necessità di partecipare, il fatto che ciascuno dei partecipanti sia a sua volta rappresentante di un gruppo cui fa riferimento, rende conto di cosa significhi dare vita e portare a compimento una iniziativa multistakeholder».
Oltre all’iniziativa sui Patient Reported Otucome, di cui abbiamo parlato, può fare altri esempi di percorsi in atto?
«Il primo esempio, nato ormai da diversi anni, è la Progressive Multiple Sclerosis Alliance, nata dalle associazioni delle persone con sclerosi multipla, ha saputo coinvolgere il meglio del mondo accademico, l’eccellenza della ricerca internazionale e anche le industrie di settore, in un forum dove si stemperano e si vanno ad affrontare in modo condiviso elementi di collaborazione pre-competitiva. La PMSA ha come obbiettivi prioritari di individuare, entro pochi anni, nuovi marcatori di progressione da utilizzare nei trials clinici e almeno due nuove molecole da portare in fase 2 per nuove terapie. Vogliamo inoltre dimostrare l’efficacia sia dell’esercizio che della riabilitazione cognitiva nella SM, in modo che in futuro possa venire erogata in modo appropriato e riconosciuta da parte delle autorità sanitarie come trattamento capace di curare la malattia».
Secondo esempio?
«Un altro percorso multistakeholder è un progetto finanziato dalla Comunità Europea, di cui FISM è capofila, che si chiama MULTI-ACT: mira ad aumentare l'impatto della ricerca sanitaria sulle persone con diverse malattie cerebrali favorendo la cooperazione di pazienti e delle loro organizzazioni, di accademici, di soggetti interessati privati e pubblici per sviluppare nuovi strumenti attraverso cui misurare la sostenibilità, l’efficienza, l’efficacia e l’impatto sociale della ricerca».
C’è anche un terzo percorso multistakeholder nella SM?
«Un terzo esempio è la stessa European Charcot Foundation (ECF) di cui sono Presidente. Fondata da gruppi accademici dei ricercatori, è diventata più recentemente un’iniziativa multistakeholder che coinvolge varie iniziative in atto in Europa nell’ambito della SM, i big pharma e le associazioni SM. ECF opera perché le diversi componenti si scambino i rispettivi know how, interessi e obiettivi. Un approdo di questo percorso condiviso è la proposta di realizzare in tutta Europa un modello di cura e presa in carico globale della SM. L’abbiamo chiamato “MS Care Unit” e intende garantire un livello minimo comune alla qualità dell’assistenza erogata in ogni territorio. Alcuni paesi sono già avanzati, altri hanno ancora percorso da effettuare. Ma tutte le persone hanno diritto a essere seguite nel modo migliore possibile, ovunque vivano».
Siamo partiti dalle persone con SM e stiamo finendo ancora con i diritti delle persone: lei, dal suo punto di vista, che consigli darebbe alle persone stesse per diventare seriamente “stakeholder” con pari valore e dignità di tutti gli altri nei processi decisionali della ricerca, della cura e della presa in carico?
Ritengo che ci siano due strade maestre. La prima: informazione, informazione, informazione, per ciascuno e per tutte le persone con una malattia. L’obiettivo è la conoscenza. Conoscere sempre meglio la malattia per partecipare in modo consapevole alle decisioni connesse con la gestione della propria malattia. La seconda strada è quella che intreccia la rappresentatività oggi garantita dalle associazioni SM e la capacità di coinvolgere nei diversi processi di natura decisionale anche il paziente singolo, laddove lo voglia e abbia competenze da condividere.