Un nuovo studio pubblicato su Brain ha dimostrato che l'integrazione di misure cliniche e di risonanza magnetica permette di prognosticare anticipatamente il peggioramento clinico a lungo termine in persone con sclerosi multipla primariamente progressiva.
La risonanza magnetica è una tecnica che dagli anni ’80 ad oggi ha trovato sempre maggiore applicazione nella diagnosi e nel monitoraggio della sclerosi multipla. Oggi però sappiamo che può venire in aiuto dei medici anche su un altro fronte: consente di prevedere il peggioramento clinico a cui vanno incontro le persone con sclerosi multipla primariamente progressiva (SMPP) con alcuni anni di anticipo rispetto alla valutazione neurologica.
È quanto emerso in uno studio pubblicato su Brain, che ha dimostrato come l’impatto a lungo termine della SMPP – una forma clinica caratterizzata da marcata compromissione motoria - si riesca a valutare con più accuratezza quando, insieme alla valutazione clinica, si integri anche la risonanza magnetica. Lo studio, cofinanziato da AISM e dalla sua Fondazione, è stato condotto dalla dottoressa Mara Rocca e coordinato dal professor Massimo Filippi dell'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Per raggiungere questo risultato, 54 pazienti affetti da SMPP sono stati sottoposti a risonanza magnetica (integrata a valutazione clinica) la prima volta all’inizio dello studio e la seconda 15 mesi dopo. Ai fini dello studio, 49 di questi pazienti sono poi andati incontro ad una valutazione clinica a distanza di 5 e 15 anni. Dopo questo lungo monitoraggio, sono stati applicati diversi modelli statistici per valutare il ruolo della semplice valutazione clinica e quello intregato di valutazione clinica e di risonanza magnetica nel predirre l’accumulo di disabilità a lungo termine dei pazienti. Il modello che includeva, oltre alle misure cliniche, misure di risonanza magnetica eseguita a 15 mesi ha permesso di prevedere la progressione della disabilità a lungo termine con maggiore precisione rispetto alla sola valutazione clinica eseguita a 5 anni. Il dato più interessante è che tale modello integrato ha predetto il peggioramento clinico a lungo termine con una precisione del 78%, e ha permesso di identificare le persone a rischio con 4 anni di anticipo rispetto alla sola valutazione clinica. Questo risultato è di estrema importanza, commenta il Prof. Filippi, data la recente disponibilità di farmaci per il trattamento di questa forma estremamente disabilitante di malattia.
La SMPP è caratterizzata fin dall’esordio da una graduale progressione della disabilità, senza vere e proprie ricadute o periodi di remissione. In questa condizione il paziente va incontro a un peggioramento della funzione neurologica, che si ripercuote anzitutto sulle capacità motorie, come deambulazione e coordinazione. Per esempio, il 90% delle persone che hanno partecipato allo studio del San Raffaele dopo 15 anni ha avuto una progressione di disabilità. È quindi importante poter identificare le persone con SMPP a maggiore rischio di progressione clinica a lungo termine, così da definire al più presto una gestione della malattia e un trattamento adeguati.
“Per fare in modo che questa tecnica acquisti un’utilità effettiva nell’assistenza al paziente – spiega Mara Rocca tirando le somme - nei nuovi studi sarà importante ampliare il numero di persone analizzate, ma anche allargare le misure cliniche e ampliare l’utilizzo di misure di risonanza nella pratica clinica quotidiana”.
Long-term disability progression in primary progressive multiple sclerosis: a 15-year study.
Maria A. Rocca, Maria Pia Sormani, Marco Rovaris, Domenico Caputo, Angelo Ghezzi, Enrico Montanari, Antonio Bertolotto, Alice Laroni, Roberto Bergamaschi, Vittorio Martinelli, Giancarlo Comi, Massimo Filippi. Brain, awx250, https://doi.org/10.1093/brain/awx250