A raccontarlo Bruno Musch, Medical Director della sezione Neuroscienze di Genentech Roche USA, e membro dell’Industry Forum della Progressive MS Alliance, nel suo intervento al Congresso scientifico annuale FISM in corso a Roma dal 28 al 30 maggio
Clicca qui per leggere tutti gli articoli sul Congresso FISM 2018
Capire i meccanismi alla base della malattia aiuta a individuare i target per le sperimentazioni, e a loro volta i trial ci danno informazioni utili a confermare i meccanismi biologici della patologia. A raccontarlo Bruno Musch, Medical Director della sezione Neuroscienze di Genentech Roche USA, e membro dell’Industry Forum della Progressive MS Alliance, nel suo intervento al Congresso scientifico annuale FISM in corso a Roma dal 28 al 30 maggio
Nella foto: il dottor Bruno Musch al Congresso FISM 2018
Dottor Musch, perché è così difficile sviluppare farmaci in campo neurologico?
«I farmaci contro le malattie neurologiche, così come quelle psichiatriche, sono una realtà piuttosto recente: il loro sviluppo è sempre stato molto difficile. Ciò in parte è dovuto al fatto che i modelli animali utilizzati nella ricerca preclinica non sono molto predittivi del comportamento delle molecole testate nell’essere umano, ma ancor prima anche ricreare un modello animale di malattia neurologica è difficile. La storia dello sviluppo di farmaci in neurologia ha sofferto anche di grandi insuccessi: molte molecole che hanno dato risultati promettenti nelle fasi iniziali, hanno poi fallito nelle fasi più avanzate delle sperimentazioni. E fino a qualche decennio fa il neurologo era conosciuto come qualcuno che poteva fare una diagnosi di malattia ma che poco o nulla poteva fare per i propri pazienti, perché poche erano le opzioni farmacologiche disponibili».
Nel campo della sclerosi multipla oggi però i neurologi hanno a disposizione diversi farmaci. C’è qualcosa che ha reso la ricerca sulla sclerosi multipla diversa da quelle di altre malattie neurologiche?
«Anche se ancora non abbiamo farmaci in grado di curare la sclerosi multipla, oggi abbiamo diverse opzioni a disposizione, dai sintomatici ai cosiddetti disease modifying drugs, ovvero farmaci capaci di modificare il corso della malattia. Nel complesso possiamo ridurre le fasi acute, ritardare o rendere meno severo il decorso della malattia. Nell’ambito della sclerosi multipla lo sviluppo di alcune tecnologie, prime tra tutte quelle di imaging come la risonanza magnetica, ci hanno permesso di avere a disposizione degli strumenti per fotografare lo stato della malattia e l’effetto dei farmaci sulla sua progressione. Ma oltre a questo, la ricerca si è avvantaggiata dell’interazione continua tra i processi di sviluppo dei farmaci e la ricerca delle cause della patologia. Perché se è vero che conoscere le basi biologiche della malattia ci permette di ipotizzare delle strategie di cura, è anche vero che gli studi condotti su molecole candidate a diventare farmaci ci permettono di validare le ipotesi sul loro meccanismo d’azione e su come la patologia si sviluppa. Questo ci ha permesso di avere oggi per la sclerosi multipla farmaci diversi, dagli interferoni agli anticorpi monoclonali, che hanno come target cellule e meccanismi biologici differenti, soprattutto per le forme recidivanti–remittenti ma ormai, con ocreluzimab, anche per le forme progressive».
Cosa ha rappresentato l’arrivo di ocrelizumab per le forme progressive?
«L’arrivo di questo farmaco ha cambiato il modo di guardare alle forme progressive, prima di tutto perché ha aperto la porta all’idea che anche per queste forme di malattia, per cui a lungo si è creduto che nulla potesse funzionare, possiamo fare qualcosa, possiamo mettere a punto dei trattamenti. In fondo è lo stesso spirito che anima l’International Progressive MS Alliance. Potremmo dire che ocrelizumab ha cambiato il tono della conversazione intorno a queste forme: da un atteggiamento un po’ scettico e negativo abbiamo cominciato ad abbracciare un atteggiamento più positivo, che potrà portare probabilmente all’arrivo di altri farmaci in futuro».
Qual è la direzione della ricerca clinica contro la sclerosi multipla?
«In passato molta della ricerca si è focalizzata sulla riduzione delle esacerbazioni della malattia, per esempio cercando di ridurre l’infiammazione e le ricadute nelle forme recidivanti-remittenti. Però secondo la visione per cui la sclerosi multipla è un’unica malattia, quello che succede con il tempo è una progressione della patologia, che porta a disabilità e a riduzione delle funzionalità, in tutte le persone con SM. Quindi credo che oggi il target della ricerca farmacologica dovrebbe essere questo: sviluppare soluzioni che consentano alla persona con sclerosi multipla di vivere una vita attiva il più a lungo possibile, contrastando la progressione della malattia».
Per saperne di più sulla Progressive MS Alliance
Clicca qui per leggere tutti gli articoli sul Congresso FISM 2018