Un meccanismo finora poco studiato che oggi rappresenta l'avanguardia degli studi sulla SM: la rimielinizzazione è infatti l'obiettivo che diversi studi si pongono come prioritario. Per agire, fin dalle prime fasi di malattia, sulla degenerazione che spiana la strada alla disabilità. Di questa frontiera della ricerca ci parla Catherine Lubetzki, del Dipartimento di malattie del sistema nervoso, Hôpital Pitié-Salpêtrière, Parigi, ospite del Congresso FISM 2017, in corso a Roma dal 29 al 31 maggio.
Professoressa Lubetzki, perché è importante studiare i meccanismi di riparazione nella SM?
«Perché fino a ora ci siamo concentrati sui processi di infiammazione che caratterizzano la malattia nella sua fase recidivante-remittente: una ricerca fruttuosa che ha dato vita a diversi farmaci capaci, in maniera più o meno efficace, di ridurre il numero di ricadute e il numero di nuove lesioni. Ma oltre all'infiammazione sappiamo che nella sclerosi multipla agisce anche la neurodegenerazione: prima pensavamo che fosse un meccanismo caratteristico solo della fase avanzata della malattia, mentre oggi sappiamo che inizia fin dall'esordio. Studiare i meccanismi di riparazione è quindi importante per trovare un modo di agire anche sul lento progredire della neurodegenerazione, che spiana la strada alla disabilità irreversibile. Per esempio cercando di promuovere la rimielinizzazione degli assoni, che progressivamente perdono il loro rivestimento rimanendo svestiti e vulnerabili.
Quali strategie si stanno sviluppando per favorire la rimielinizzazione?
«Al momento la comunità scientifica sta lavorando in maniera parallela su due strade. Da una parte c'è la terapia a base di diversi tipi di cellule staminali, che deve tenere conto della difficoltà di usare cellule che devono raggiungere il target giusto per esercitare la loro azione. Dall'altra parte si cercano target terapeutici per promuovere le strategie di riparazione endogena: sappiamo infatti che nel cervello delle persone con SM si verifica la rimielinizzazione spontanea, tanto che alcune lesioni vengono riparate completamente, ma sfortunatamente questa capacità diminuisce con il progredire della malattia. Un obiettivo è quindi quello di cercare una strategia farmacologica per promuovere questa capacità endogena. Per esempio con gli anticorpi monoclonali anti-Lingo, che hanno dimostrato di promuovere la rimielinizzazione nei modelli animali e che stanno dando però risultati discordanti nelle prime sperimentazioni umane. Oppure con sostanze capaci di aumentare l'attività del recettore X dei retinoidi, un punto chiave del processo di rimielinizzazione. Studi interessanti, per quanto preliminari, si stanno facendo anche nella valutazione della stimolazione elettrica transcranica. A individuare il farmaco giusto si può arrivare anche attraverso strumenti di screening massivi, che analizzano la maggiore quantità di farmaci possibile sia in vitro sia in vivo. Nel nostro laboratorio, per esempio, usiamo strumenti di screening che lavorano in vivo con cui abbiamo testato tutti i farmaci conosciuti di cui era stata riportata attività rimielinizzante insieme ad altre molecole che sono emerse dal nostro lavoro di ricerca. L'idea è quella di confermare questa capacità in vivo e arrivare quindi più velocemente al momento traslazionale».
A oggi è possibile misurare la rimielinizzazione?
«Trovare dei marcatori per la valutazione della rimielinizzazione è essenziale per poter sviluppare delle strategie terapeutiche che puntano alla riparazione. Al momento purtroppo non ne abbiamo, ma negli ultimi anni ci sono stati degli avanzamenti, soprattutto dal punto di vista dell'imaging. Sappiamo oggi che ci sono delle metriche di risonanza magnetica che possono essere usate per valutare l'attività di rimielinizzazione, oppure delle immagini ottenute con la Pet. Nel nostro laboratorio, grazie anche al lavoro di Benedetta Bodini, neurologa italiana che ha trascorso un periodo presso la nostra struttura, abbiamo dimostrato che con la Pet è possibile quantificare sia la demielinizzazione sia la rimielinizzazione, e che c'è una grande eterogeneità fra i pazienti, ci sono persone con SM che hanno una buona capacità di rimielinizzare e altre no. In più abbiamo visto che una buona capacità di rimielinizzazione è correlata a una prognosi migliore. Poter misurare queste attività è fondamentale anche per poter disegnare degli studi clinici i cui obiettivi siano proprio quelli di valutare la capacità riparativa delle terapie. Fino a oggi, invece gli studi sono stati disegnati per valutare l'efficacia delle terapie sui meccanismi di infiammazione. Per esempio, alla luce di quello che abbiamo dimostrato una possibilità potrebbe essere quella di disegnare nuovi trial dividendo i pazienti in base alla loro capacità di rimielinizzare».
Le strategie di riparazione saranno uno degli hot topic del congresso Ectrims 2017, quali altri temi verranno discussi?
«Quest'anno l'annuale congresso Ectrims verrà realizzato in collaborazione con Actrims, l'associazione americana, e sarà quindi davvero il momento per fare il punto sulle novità internazionali nel mondo della SM. Si terrà a Parigi dal 25 al 28 ottobre, e ho l'onore di essere una delle co-chair. Molta attenzione sarà dedicata alla riparazione, dagli studi di biologia alle sperimentazioni cliniche, ma abbiamo voluto fare un buon bilanciamento fra ricerca di base, ricerca traslazionale, dando spazio anche agli update sulle terapie e sui nuovi metodi di diagnosi e imaging. Un programma ricco che sono sicura sarà interessante per tutti gli attori del mondo della SM».
Che ruolo ha giocato e gioca la Progressive MS Alliance nella promozione della ricerca sulle forme progressive di SM?
«La Progressive SM Alliance è una task force molto importante nello sviluppo di nuove strategie. È nata sulla spinta del mondo scientifico e associazionistico per puntare l'attenzione su un tipo di SM dove non si erano fino a quel momento ottenuti risultati, e ancora oggi c'è molto da fare. La sfida futura nel campo della SM, infatti, è quella di curare la fase progressiva, tenendo in mente però che questa fase inizia in realtà molto presto. Sulla base di obiettivi chiari e condivisi la PMSA organizza dei bandi per i finanziamenti di progetti di ricerca che prevedono collaborazioni internazionali: si tratta di bandi molto competitivi grazie ai quali i progetti selezionati ottengono dei buoni finanziamenti e vengono valutati periodicamente in maniera molto rigorosa. È un'azione molto positiva soprattutto perché può contare sulla presenza delle persone con SM in tutte le fasi del processo, compresa quella di selezione dei progetti, e su una buona collaborazione con le aziende farmaceutiche, in modo che ci possa essere una veloce transizione verso lo sviluppo di soluzioni terapeutiche».