La Progressive MS Alliance, alleanza internazionale di associazioni SM, ha assegnato un bando da 12 milioni di euro a tre progetti di eccellenza. Gianvito Martino del San Raffaele, da 25 anni ricercatore sostenuto da AISM, è uno dei vincitori. Lo abbiamo intervistato
Oggi, 15 settembre 2016, le associazioni della SM scrivono una nuova importante pagina nella storia della ricerca sulla sclerosi multipla: la Progressive MS Alliance (PMSA), che ha AISM tra i primi fondatori e sostenitori, ha annunciato i 3 vincitori Bando ‘Collaborative Network Award’, che assegna a ciascun vincitore 4,2 milioni di euro, con un investimento complessivo di 12.600.000 euro, per velocizzare la ricerca sulle forme progressive di SM. Ed è l’italiano Gianvito Martino (Istituto Neurologia Sperimentale, INSPE, Ospedale San Raffaele, Milano) il ricercatore principale (“principal investigator”), il promotore e responsabile di uno dei tre progetti risultati vincenti.
Il progetto si intitola Brave in MS- Bioinformatica e riprogrammazione di cellule staminali per lo sviluppo di una piattaforma in vitro per scoprire nuovi trattamenti per la SM progressiva e prevede la collaborazione di 13 gruppi di ricercatori e 8 centri in tutto il mondo. Abbiamo chiesto a Gianvito Martino di presentarci il valore innovativo del progetto, del network cui ha dato vita per realizzarlo e della collaborazione internazionale promossa dalle associazioni della SM di tutto il mondo.
«In quattro anni – spiega Martino– vogliamo arrivare a identificare con buona sicurezza almeno una molecola che possa essere sperimentata come trattamento per la forma progressiva di SM, ad oggi priva di cure, e garantire a tante persone una vita migliore, meno segnata dalla disabilità che continua ad aggravarsi. Cerchiamo, in particolare, molecole con capacità neuro protettive e rimielinizzanti. Cerchiamo, insomma, molecole capaci di proteggere il neurone danneggiato dalla SM e, possibilmente, di riattivare la capacità degli oligodendrociti delle persone con SM progressiva di produrre nuova mielina».
Questo è l’obiettivo: con quali strumenti intendete arrivarci?
«Utilizzeremo due strumenti nuovi, entrambi decisivi. In primo luogo, selezioneremo in silico - cioè riproducendo fenomeni di natura chimico biologica attraverso una simulazione matematica al computer (invece che in provetta o in un essere vivente) - una serie molecole che stimolano la rimielinizzazione e svolgono un ruolo neuroprotettivo tra quelle già approvate dalle autorità regolatorie statunitensi ed europee (FDA ed EMA) per curare altre malattie ma che non sono mai state usate nella SM. Questo processo è reso possibile da un complesso sistema bioinformatico messo a punto dal professor Sergio Baranzini della University of California di San Francisco che, confrontando le molecole di cui sopra con le caratteristiche dei pazienti con SM - genetiche, patologiche, immunologiche, radiologiche, cliniche, etc. -, ci permetterà di selezionare una lista di ‘molecole’ potenzialmente utili nella forma progressiva di SM».
Diceva che i motori propulsori del progetto di network sono due: ci presenta in breve il secondo?
«Dopo questo primo screening, una seconda fase del progetto, che sarà curata in particolare dal nostro gruppo del San Raffaele, utilizzerà le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), ricavate dalla pelle di persone con SM progressiva, per selezionare tra le molecole di cui sopra quelle che ‘biologicamente’, cioè in vitro e non al computer, riescono ad indurre rimielinizzazione e neuroprotezione. La tecnica da noi utilizzata a base di iPSC ci consentirà di avere una sorta di “malattia in provetta", perché, appunto nella provetta, avremo neuroni e oligodendrociti appartenenti al paziente con SM da cui sono state prelevate le cellule della cute. Con queste cellule, che abbiamo imparato a generare utilizzando la scoperta di Shinya Yamanaka, Premio Nobel 2012, verificheremo appunto quali, tra le molecole selezionate in silico, funzioneranno meglio in una situazione già più vicina alla malattia che vogliamo curare».
A questo punto della selezione, come si arriverà alla fase clinica vera e propria?
«Alla fine del nostro percorso sperimenteremo le molecole migliori su tre modelli animali di malattia, che riproducono sia gli aspetti infiammatori che quelli neurodegenerativi tipici della SM, per arrivare a individuare almeno una molecola pronta per essere sperimentata sugli uomini».
Fino a pochi anni fa il processo della ricerca era molto più lento e dispendioso.
«Sì, secondo i ‘canoni’ consolidati si partiva da circa 5.000 – 10.000 molecole candidate e con un lungo processo, lungo circa 15 anni, si arrivava nei migliori dei casi a vederne approvata una come farmaco, con un costo complessivo di oltre un miliardo di dollari. Ora, con le nuove tecnologie bioinformatiche da una parte, e soprattutto con la possibilità di ricavare da una semplice biopsia della pelle del paziente le cellule staminali indotte pluripotenti, si è creato un nuovo snodo, sinora mancante, nel processo di sperimentazione clinica di nuovi trattamenti. Così si riducono i tempi e i costi, aumentando invece le speranze delle persone di avere a disposizione trattamenti sicuri ed efficaci per ciascuna forma di SM».
Nulla nasce dal caso: AISM ha sostenuto il primo progetto di ricerca sulle staminali, curato proprio da lei professore, già negli anni ’90. In qualche modo oggi si raccolgono i frutti di un lungo percorso, che ha fatto scuola nel mondo.
«Certamente il fatto che il progetto di “BRAVE in MS” sia stato scelto, con un finanziamento importante, tra altre proposte analoghe, certifica che in questi anni abbiamo acquisito una certa leadership in questo ambito di ricerca, certificata dalla comunità scientifica internazionale della sclerosi multipla. E un ingrediente vincente di questo riconoscimento è il fatto che AISM abbia dedicato da anni molte risorse a forgiare una vera e propria scuola di eccellenti ricercatori italiani sulla SM. Io personalmente, in particolare, sono accompagnato e sostenuto da più di 25 anni dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla nei percorsi di ricerca che ho condiviso con il mio gruppo di lavoro: sono stato il primo ricercatore italiano a vincere una borsa di studio AISM per andare all’estero, il primo a vincere il Premio Rita Levi Montalcini, il primo, insieme al professor Uccelli di Genova, a essere finanziato per studiare l’utilizzo delle cellule staminali nella sclerosi multipla. Ma oggi non è più tempo, se mai ci sia stato, di fare ricerca da soli: la ricerca che ottiene risultati è solo quella collaborativa, quella che si fa insieme tra gruppi nazionali e internazionali possibilmente eccellenti. Il gruppo che parteciperà a questo progetto è un gruppo fatto di eccellenze assolute e questa vittoria, che apre ad un lavoro collaborativo che durerà quattro anni, è una vittoria di squadra e non del singolo».
Al di là dei singoli progetti, quale le sembra l’aspetto davvero innovativo portato dalla Progressive MS Alliance per trovare una cura efficace per ogni tipo di SM progressiva?
«L’aspetto veramente decisivo, quello che potrebbe presto garantire una vita migliore a tante persone, è a mio avviso il coraggio delle singole associazioni SM nazionali di mettersi insieme, creando anche una sorta di ‘cassa comune’, per sostenere progetti internazionali di eccellenza, scelti per la qualità e l’efficacia e non in base all’appartenenza geografica dei ricercatori. Nel mondo delle organizzazioni non profit che promuovono ricerca scientifica questo coraggio di abbattere i muri dei confini nazionali è abbastanza raro. Sono convinto che darà frutti abbondanti. Inoltre le associazioni danno voce, ruolo e competenza a un attore decisivo che è quello della persona che ha la sclerosi multipla. Così noi ricercatori accademici siamo aiutati a mettere all’inizio di ogni nostro disegno di ricerca il suo impatto sulla vita delle persone».